Andare in bici a lavoro è una corsa ad ostacoli, servono politiche strutturali

È quasi un mese che ho finalmente ricominciato ad andare al lavoro in bicicletta, anche grazie all’allungamento delle giornate e alla mia nuova due ruote, oggi perfettamente ristrutturata.

Pedalo ogni giorno circa oltre 25 km tra andata e ritorno, in un tragitto tra il quartiere Savonarola alla zona industriale di Teolo che richiede in genere 35 minuti, cioè solo 10 minuti in più di quanto impiegherei per andare al lavoro in automobile.

Perché decido di andare in lavoro in bicicletta? Innanzitutto, perché per me è un’abitudine radicata: se fin da piccolo mio padre mi portava in bicicletta a scuola, crescendo ho sempre usato questo mezzo per andare alle medie, alle superiori e all’università, compreso quando ho lavorato all’estero a solo 4 km da dove abitavo.

Non bastano però le buone abitudini, perché andare al lavoro con l’auto, al caldo e senza doversi cambiare una volta arrivato, rimane una grande tentazione. Alla fine però scelgo la bici, perché mi permette di fare attività fisica senza inquinare, risparmiando inoltre fino agli 80 € al mese di benzina.

Tante però sono le criticità che riscontro spostandomi in bicicletta: le ciclabili ci sono, ma in certi tratti sono pericolosamente in comune con i pedoni, altre volte sono invece interrotte da paletti che obbligano a rallentare o addirittura a scendere dalla bici. Archetti che fanno solo contendere il percorso a ciclisti e pedoni e che peraltro non sono neanche del tutto efficaci nel limitare gli incidenti.

Basterebbe ricordare il ciclista ucciso a Selvazzano Dentro alla fine di marzo.  È un tratto che da qual momento ho smesso di percorrere, perché non è possibile morire in questo modo: sto invece sulla carreggiata, nonostante sappia di rischiare di più e di incorrere, in caso di incidente, in concorso di colpa, perché così posso tenere una velocità costante che, secondo i dati di Strava, mi garantisce di risparmiare circa 5 minuti nel percorso totale.

L’altro grande deterrente all’uso della bicicletta è invece l’educazione stradale. Senza voler generalizzare e colpevolizzare un’intera categoria, non si può non notare quante volte precedenze, spazi dedicati e distanze di sicurezza non vengano rispettate dagli automobilisti, che continuano a considerare i ciclisti “ospiti scomodi” della carreggiata. Non è vero: in assenza di spazi dedicati – di cui come Legambiente chiediamo da sempre ampliamento e messa in sicurezza – le bici hanno pari diritto delle auto di percorrere la carreggiata, ovviamente, per quanto possibile, sulla destra.

Quello che pare mancare è invece il rispetto per una fascia che è oggettivamente più debole rispetto alle macchine, protetto com’è solo da qualche vestito e al più da un casco (che ad oggi non è però obbligatorio secondo le norme della strada). È una persona che, a differenza degli automobilisti, sta facendo fatica e che per ripartire ogni volta deve rimettere in moto tutti i muscoli e non schiacciare banalmente un pedale e che dunque meriterebbe qualche attenzione in più. Costerebbe dunque tanto a chi va in automobile lasciarlo passare per non costringerlo ad un faticoso smontare e risalire in sella?

Sin da piccoli ci hanno insegnato che ad anziani e bambini si cede il passo, in segno di rispetto e per facilitare il percorso a chi si trova in una situazione di debolezza. Dovrebbe essere lo stesso per le bici sugli incroci, e invece ci si trova molto spesso a dover litigare per una precedenza che spetta di diritto al ciclista come al pedone, oppure a dover schivare le molte auto che sostano sugli attraversamenti ciclo-pedonali.

Come vedete, a causa delle strade e delle scelte di molti automobilisti, serve ancora davvero molta convinzione per decidere di andare ogni giorno al lavoro in bicicletta, perché le strade ma anche molti automobilisti sono un enorme disincentivo allo spostarsi in questo modo.

Quello che serve sono quindi politiche strutturali delle Amministrazioni e dei progettisti che incentivino la mobilità sostenibile, sia grazie alle opere sia grazie a piccoli interventi che mettano in sicurezza chi si sforza per fare scelte di vita più sostenibili. Scelte che  oggi più che mai sono cruciali per contrastare l’emergenza smog della nostra città e fermare i cambiamenti climatici in atto.

Fabio Castellini – gruppo mobilità Legambiente Padova