Cambiamenti climatici, ci salverà la disobbedienza civile?

Una Londra paralizzata durante la Settimana Santa, con oltre mille attivisti nonviolenti che si sono fatti arrestare per dimostrare in prima persona quanto sia urgente affrontare l’emergenza climatica ed ecologica.

È l’atto più eclatante del movimento di origine inglese Extinction Rebellion, che si è reso protagonista di varie iniziative e manifestazioni in Italia e nel mondo.

Dal 15 aprile a Londra sono stati bloccati i punti nevralgici della città, tra cui Oxford Circus, dove è stata fatta sfilare una grande barca a vela rosa intitolata a Berta Caceres, ecologista assassinata in Honduras nel 2016; è mezzo milione la stima delle persone bloccate nella settimana iniziata con la “Giornata di ribellione internazionale”.

Tre le richieste radicali del movimento nato l’anno scorso, nello stesso periodo in cui Greta ha cominciato il suo sciopero solitario (ne abbiamo parlato qui) e la cui prima manifestazione è stata invece lo scorso metà novembre. Primo, i governi devono dichiarare lo stato emergenza climatica ed ecologica; secondo, serve agire subito per fermare la perdita di biodiversità e azzerare le emissioni dei gas serra nel 2025; terzo, i governi devono creare ed essere guidati in queste azioni da assemblee di cittadini sul clima e la giustizia ecologica.

Sono richieste che possono far sorridere, di fronte ad un continuo aumento delle emissioni climalteranti in atmosfera: i Fridays For Future iniziato da Greta Thunbergintervenuta però in sostegno del movimento inglese a Marble Arch – chiede piuttosto zero emissioni al 2050, secondo le indicazioni dell’ultimo rapporto sull’IPCC (di cui abbiamo parlato qui). Ci sono però già effetti concreti di queste mobilitazioni: il Regno Unito è stato il primo paese – seguito poi dall’Irlanda – a dichiarare quella che sarebbe un’errore non definire “emergenza climatica”, perché bisogna “dire la verità”, come recita lo slogan della murata della Berta Caceres, perché, è vero, porre il problema è la prima condizione per risolverlo.

E il movimento non sembra peccare di ingenuità, conosce gli scenari drammatici a cui ci porterà la mancata riduzione delle emissioni – migrazioni di massa, esaurimento delle risorse e acqua potabile come bene scarso – portando insieme avanti proposte concrete, come la richiesta ai governi di investire nelle produzioni alimentari agro-ecologiche resistenti agli eventi meteorologici estremi.

Nuove e interessanti, inoltre, sono le pratiche messe in campo per portare l’attenzione sulla crisi ambientale: dopo essersi incollati con la supercolla ai vagoni della metropolitana e alla staccionata della casa del leader laburista Jeremy Corbyn durante la mobilitazione che ha paralizzato Londra , all’inizio di maggio dodici attivisti si sono incatenati con i lucchetti delle bici al cancello del Parlamento britannico, con lo slogan “Il nostro futuro è incatenato alle tue azioni”.

Tornano dunque con forza in piazza pratiche di lotta che i movimenti non solo giovanili avevano abbandonato o replicavano stancamente: tra le più interessanti c’è la ripresa del sit-in, trasformato con creatività in die-in, in cui gli attivisti si fingono morti per sensibilizzare sulla sesta estinzione di massa in atto, come avvenuto in contemporanea mondiale il 27 maggio a Roma e altrove.

Il richiamo è alla cultura nonviolenta, Gandhi Martin Luther King e il nostro Aldo Capitini: «Agiamo in pace, con un amore profondo per queste terre», recita la dichiarazione di ribellione del novembre 2018. E infatti durante il blocco pacifico di Londra non c’è stata nessuna resistenza agli agenti: i reati contestati sono piuttosto la violazione dei regolamenti sulle manifestazioni.

«I mezzi per giungere al fine devono essere omogenei al fine perseguito», ha infatti dichiarato ad Open, citando Gandhi,  Marco Bertaglia, ricercatore e coordinatore del movimento in Italia. Per questo, prosegue, utilizzano server che utilizzano energie rinnovabili e prendono decisioni in modo non centralizzato. Di nuovo gli stili di vita al centro dunque, ma non solo, come per il Fridays For Future, con lo scopo di limitare il nostro enorme impatto ecologico sul pianeta, ma anche come metodo politico che vuole fare la differenza già da ora.

Il prossimo appuntamento è il 24 maggio, con Fridays for Future e Extinction Rebellion, per dire che per avere un futuro vivibile serve intervenire subito contro l’emergenza climatica. Ci salveranno l’attenzione agli stili di vita, la disobbedienza civile e un maggiore radicalismo?

Luca Cirese – redazione ecopolis

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