L’Idrovia Padova-Mare finisce alla Corte dei conti

Chi sono i titolari delle funzioni che riguardano il progetto dell’Idrovia Padova-Venezia? Quali sono i tempi in cui dovranno essere assolti gli adempimenti nel caso di completamento dell’opera o del suo definitivo abbandono?

Sono le richieste di accertamento che l’Associazione Salvaguardia Idraulica del Territorio Padovano e Veneziano, con il patrocinio dell’Avv. Ivone Cacciavillani, ha sottoposto alla Corte dei Conti.

Il tema del completamento dell’idrovia è stato a più volte trattato su Ecopolis (vedi qui) da quando, nel 2006, Luigi D’Alpaos, professore emerito di idraulica presso l’Università di Padova, ha dimostrato con uno studio basato su un modello matematico come il canale può svolgere la funzione di scolmatore in caso di piena contemporanea delle acque della Brenta e del Bacchiglione, diminuendo in tal modo il grave rischio idraulico in cui si incorre nel caso della concomitanza del fenomeno per i due fiumi.

La storia del canale idroviario è invece lunga e complessa. L’opera, deliberata e finanziata con la legge n. 92/1963, fu iniziata dal Consorzio costituito nel 1965 tra i Comuni e le Province di Padova e Venezia e portata avanti con lo scavo di circa 11 km di canale e la realizzazione di 4 viadotti, che tuttora scavalcano la campagna. Le somme stanziate furono di 35,38 miliardi di lire.

Nel 1985 il consorzio fu sciolto, trasferendone le competenze alla Regione, e nello stesso anno i lavori furono sospesi e mai più ripresi. Successivamente con le leggi 380/1990 e 16/2000 lo Stato ha prima dichiarato il sistema idroviario veneto di preminente interesse nazionale e poi inserito l’idrovia Padova-Venezia nell’elenco delle opere facenti parte dell’Accordo europeo sulle grandi vie navigabili.

Infine nel 2015 la Regione, con procedura di evidenza pubblica, ha bandito e poi approvato il progetto preliminare di completamento dell’opera, senza però predisporre a tutt’oggi il progetto definitivo per mancanza del necessario finanziamento.

Secondo il patrocinante se un’opera, che dovrebbe essere stata approvata sulla base di un progetto definitivo con tempi di attuazione e coperture finanziarie, dovesse subire ritardi nell’esecuzione o addirittura lunghe interruzioni, i fondi già stanziati non possono essere stornati e destinati ad altra opera, magari di più attuale valore elettoral-politico, ma si deve arrivare ad un aggiornamento del progetto o, nei casi estremi, alla rinuncia dell’opera. Viceversa, in caso di mancanza di atti formali definitivi, la Corte di Conti dovrebbe accertare e sanzionare il danno erariale che deriva da tale storno di finanze.

La Corte dei Conti, come precisa l’avvocato Cacciavillani, è chiamata infatti a giudicare sui conti delle Pubbliche Amministrazioni e giudicare vuol dire non limitarsi a controllare e/o verificare ma entrare nel merito della gestione del bilancio delle opere pubbliche, verificando la regolarità della movimentazione delle varie voci, valutando i motivi per cui una determinata movimentazione non ha avuto attuazione nel bilancio del singolo esercizio e verificando i possibili rimedi da apportare nei bilanci successivi.

Il giudizio promosso dall’Associazione Salvaguardia Idraulica del Territorio Padovano e Veneziano potrebbe essere la svolta per risolvere o, quanto meno, contenere il malcostume italiano delle opere iniziate e mai portate a termine. La sezione per il Veneto della Corte dei Conti, ritenendo di pregio le argomentazioni del ricorso, ha fissato la prima udienza per il 18 settembre 2019. Aspettiamo fiduciosi il dibattimento.

Lorenzo Cabrelle – Legambiente Padova