Con il Piano Casa la Regione vuole fare dietrofront sul consumo di suolo

È iniziato in Regione l’iter di approvazione del Progetto di Legge n. 402/2018, che promuove la riqualificazione urbana e la rinaturalizzazione del territorio veneto. 

Una legge che però vuole anche mettere a regime il cosiddetto Piano Casa, che nulla c’entra con la lotta al consumo di suolo.

Se è condivisibile infatti l’intento di ridurre la cementificazione dei suoli con l’attribuzione di crediti edilizi legati alla demolizione degli edifici incongrui e con la densificazione edilizia che, accorpando e sviluppando in altezza i corpi di fabbrica, recupera aree libere, non si capisce la ratio di mettere a regime il Piano Casa consentendo di ampliare le singole unità immobiliari in deroga a quanto previsto dalla pianificazione comunale, laddove sia stato consumato o venga contestualmente superato l’indice fondiario previsto dallo strumento urbanistico, facendo salvi (e ci mancherebbe!) solo i limiti di altezza e distanza dai confini e tra i fabbricati, gli edifici comunque vincolati e la disciplina vigente all’interno dei centri storici.

Le quantità volumetriche e di superficie messe in gioco sono importanti: il 20% dell’esistente, per i primi due anni (come a dire: affrettatevi ad aprire i cantieri) e poi del 10%, quantità questa che può aumentare fino al 30% per interventi che realizzino coperture verdi e adeguamenti sismici non obbligatori per legge e addirittura del 50% qualora la metà dell’aumento sia finalizzata ad ospitare i crediti edilizi assegnati per la rinaturalizzazione dei terreni.

In sostanza una notevole possibilità edificatoria che varrà per sempre, in deroga al dimensionamento dello strumento urbanistico comunale e, come esplicitamente riportato nel disposto legislativo, in deroga anche agli stessi limiti di consumo di suolo fissati dal recente provvedimento adottato della Giunta Regionale in attuazione dell’art 4 della L.R. 14/2017.

Una scelta criticabile sotto diversi aspetti: in primis perché prevarica le competenze del Comune in materia di programmazione urbanistica in quanto, derogandolo, rende di fatto inutile il dimensionamento del piano di assetto territoriale (PAT); secondariamente perché, consentendo di realizzare con semplice segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) gli interventi puntuali di ampliamento, nonché quelli di riqualificazione tramite ricostruzione degli edifici, rende più difficile operare la rigenerazione urbana a scala più vasta in ambiti omogenei del territorio costruito. Sul punto sarebbe quanto meno opportuno che, come per gli interventi di densificazione, anche la riqualificazione con ricostruzione, qualora realizzata in deroga ai parametri edilizi, fosse subordinata al riconoscimento dell’interesse pubblico da parte del comune.

Anche l’eccesso di premialità, in termini di metri cubi di cemento va ripensato, avendo a mente che la drastica riduzione della superficie edificabile, operata dalla Giunta regionale per centrare l’obiettivo dell’Unione Europea di annullare il consumo di suolo entro il 2050, orienterà necessariamente l’attività edilizia verso la trasformazione del  patrimonio edilizio esistente. In ogni caso, per non vanificare la pianificazione comunale, gli aumenti di volume in deroga rispetto agli indici fondiari dovranno comunque rientrare all’interno del dimensionamento del piano urbanistico.

Bene farebbe quindi la Regione a rivedere il PdL, rinunciando a mettere a regime il Piano Casa e limitandosi a definire le norme di carattere generale e le misure atte a promuovere l’istituto dei crediti edilizi per la rinaturalizzazione dei suoli e gli interventi di densificazione, lasciando invece ai Comuni il compito di disciplinarne l’applicazione all’interno del proprio territorio.

È auspicabile inoltre che gli aspetti critici del PdL, sopra commentati, siano  oggetto di un iter procedimentale aperto ad un proficuo dibattito, che coinvolga la società civile e che consenta l’approvazione di una legge che, nel favorire la rinaturalizzazione dei suoli e la rigenerazione urbana, non comprometta le prerogative dei comuni nella pianificazione del loro territorio e non vanifichi gli sforzi per il contenimento del consumo di suolo.

Lorenzo Cabrelle – Legambiente Padova

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