La Scuola della Carità: storia di un amore a prima vista (che dura ancora)

San Giuseppe_Sala Carita PD_foto Antonio CampaUna volontaria di Salvalarte ci racconta il suo incontro con la Scuola della Carità, un monumento aperto da Salvalarte (ne abbiamo parlato qui) e con il pittore Dario Varotari (1539-1596), allievo di Paolo Veronese padre del Padovanino, autore degli affreschi raffiguranti il ciclo delle storie della Vergine che decorano le pareti della Sala Capitolare.

Piccole, puntuali annotazioni sulle immagini svelano atteggiamenti, sentimenti e emozioni dei personaggi che popolano questa “storia sacra”. Per seguire meglio questa “esplorazione artistica”, potete scorrere questa galleria fotografica, tuttavia vi invitiamo caldamente a visitare il monumento e ad ammirare di persona l’opera di Varotari.

Era l’estate del 1999 e mi trovavo a passare per via San Francesco. Lontana dalla mia città per molti anni, una volta tornata, ero alla riscoperta di mille cose.

Entrai nella Scuola della Carità dalla sua entrata originale, una corte, da dove parte una scala a giorno protetta da un loggiato (ora non più accessibile al pubblico). Arrivai a un minuscolo ballatoio, poi dentro la sala, accecata dal passaggio dal sole di agosto all’oscurità fresca di un mondo a colori. Fantastico! E da allora a tutt’oggi la Scuola è il mio piccolo paese delle meraviglie. Non conoscevo Dario Varotari, ma allo stesso tempo ritrovai nelle sue pennellate, nei suoi colori, nelle pieghe delle vesti dei suoi personaggi, le mani del Tintoretto e del Tiziano. Non per questo considero Dario Varotari inferiore ai grandi cinquecenteschi.

Dario Varotari crea nel 1579 la sua sala, il suo romanzo, la sua cronaca da consegnare ai grandi del tempo istruiti, ma anche ai poveri analfabeti, con una sequenza di immagini, quasi un album fotografico . C’è Gioacchino che viene scacciato dal Tempio dallo scriba Ruben che alza la sua mano presuntuosa da dietro un altare di marmo rosso di Verona, e c’è ancora Gioacchino che abbraccia la sua sposa, felice di saperla incinta e come sfondo c’è la mia città cinquecentesca. Le storie dei vangeli apocrifi si dipanano da una parete all’altra, interrotte dalle alte finestre. La nascita della Vergine segue un’iconografia piuttosto in uso al tempo e in quest’affresco il Varotari sembra voglia avvicinarsi al visitatore più “semplice”, mettendo in primo piano una donna che spazza il pavimento e una balia che porge il seno alla neonata Maria.

L’uso dei vangeli apocrifi, spunto per questa magnifica sala è, a parer mio, un modo per raccontare cose soprannaturali in maniera più scorrevole e ci rende la Vergine e il suo sposo Giuseppe molto vicini. La figura di San Giuseppe si erge, umilmente orgogliosa nella “presentazione della verga fiorita”, tra i giovani pretendenti delusi e arrabbiati, che ritroviamo anche nella scena del matrimonio con Maria.

Bello, bellissimo l’affresco sulla morte di San Giuseppe, tratto dall’apocrifo intitolato “storia di Giuseppe falegname”! E’ l’affresco sul quale mi son fermata più spesso a meditare: in esso il mistero della morte s’intreccia col mistero della vita di Giuseppe e del suo ruolo nella vita del Cristo. La solitudine avvolge Giuseppe, steso nel letto tra le coltri scomposte, i sandali gettati in un angolo e un gatto che fa capolino da sotto una cassapanca. A guardarlo penso: bravo Dario! Quel vecchio sono io, siamo tutti noi.

Anna Maria  Rizzato – volontaria  Salvalarte

Gli orari di apertura della Scuola della Carità sono consultabili qui