Un ambientalista in Cina, i racconti di viaggio di Davide Sabbadin

22555641_10155272181028318_2414509740295572383_oDavide Sabbadin, responsabile efficienza energetica Legambiente, è andato in Cina.

A Radio Popolare ne ha parlato qui. Su un blog creato per l’occasione ha scritto più di venti pezzi per raccontare, spesso in maniera ironica e scanzonata, la sua avventura.

Abbiamo scelto il meglio di quelli dedicati ai temi ecologici (pubblicati su La Nuova Ecologia, link nel testo) per raccontare con lo sguardo di un ambientalista una Cina che vuole diventare leader globale nella transizione alle fonti rinnovabili.

Un mese e mezzo in Cina. In giro per il paese, visitando almeno una decina di città diverse […]: sono stato scelto, infatti, assieme ad altri 19 attivisti ambientalisti europei per andare a fare uno stage in altrettante associazioni ambientaliste cinesi. È un progetto della fondazione tedesca AsienHaus, finanziato dalla Fondazione Bosch, quello delle lavatrici. […] C’è una forte esigenza da parte degli ambientalisti europei di capire come lavorano le associazioni ambientaliste cinesi – alcune esistono anche da trent’anni – e fare capire a loro, nel periodo che passano a fare lo stage presso le associazioni europee, come lavoriamo noi. In Cina i fenomeni di inquinamento ambientale e le dinamiche “distruptive” sul piano sociale e ambientale, come gli acquisti online, sono presenti con un’intensità e una scala molto maggiori della pur avanzata Europa.

In Cina ritrovo subito una vecchia gloria italiana, con una novità però: in un negozio sono decine e decine i coloratissimi modelli in vendita; i prezzi variavano dai duecento ai millecinquecento euro. La finta Lambretta si aggirava attorno ai seicento e, sinceramente, pareva un affare. Qual è la notizia? La notizia è che nessuno tra tutti quegli scooter in vendita era… a scoppio. Erano tutti elettrici. […] Questa motorizzazione elettrica ha un effetto straniante nelle affollatissime strade dei quartieri di Pechino, perché se non fosse per i colpi di clacson e gli scaracchi e le grida di qualche venditore, il silenzio regnerebbe sovrano: molte auto, infatti, sono anch’esse elettriche. […] Che cosa rimarrà, mi domando con l’amaro in bocca, delle promesse di rilancio delle nostre fabbriche di Mirafiori e Pomigliano d’Arco […]?

Ma è sulla Nuova via della Seta (Belt & Road) che la Cina scommette per entrare nello scenario geopolitico europeo. All’inizio ci fu la Sio (Shanghai international cooperation), poi la famosa Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) poi la Asean (comunità economica degli stati del pacifico) e l’Apec (con l’Australia). Buon ultima, nel 2103, è arrivata la Belt and road, che unisce 68 paesi compresi tra Cina ed Europa. E se per caso ve lo state domandando no, noi non ci siamo. […] Ma si parla anche di Green Belt and Road, perché c’è anche l’idea di promuovere grazie alle tecnologie cinesi uno sviluppo sostenibile nei paesi poco sviluppati tra Ue e Cina. […] Tutto bene, dunque? Mica tanto, secondo Arianna Americo, ricercatrice ambientale, anche lei in Cina, che mi racconta che sono 264 le centrali a carbone vendute nei paesi coinvolti nel progetto: il progetto, mi dice, serve soprattutto alle aziende cinesi del carbone e dell’acciaio per trovare uno sbocco di mercato che è stato precluso in seguito alla normativa contro l’inquinamento.

Le contraddizioni cinesi non finisco qui: nel 2017 è stata varata una legge che obbliga le Associazione cinesi a registrarsi ed essere riconosciute dal governo centrale. […] Per gli ambientalisti cinesi con cui parlo è semplicemente fuori discussione essere apertamente contrari a progetti governativi, ogni loro attività viene previamente vistata dal dipartimento della propaganda.

Ma anche associazioni che operano fuori del paese non sono viste di buon occhio: quando arriviamo a  Chongqing, l’unica città cinese in cui, a causa di colline e montagne, è fallito il bike-sharing (di cui abbiamo parlato qui), il mio omologo cinese Yang (di cui abbiamo raccontato la storia qui) mi dice che non è stata approvata la nostra visita alla Diga delle tre gole, per alcuni il più grande ecomostro della storia: non piace molto, da queste parti, che gli stranieri ci vadano a ficcare il naso, soprattutto durante il congresso del PCC.

Davide Sabbadin – sintesi a cura di Luca Cirese, redazione ecopolis