Riconversione ecologica dell’economia: necessaria e utile

green-conomy-lavoro-cliniUna delle obiezioni principali che viene fatta a chi cerca di porre l’attenzione alle tematiche ambientali anche in momenti di crisi economica è che prima bisogna pensare al lavoro e solo dopo all’ambiente. È opportuno dire senza tanti giri di parole che chi fa questa obiezione non conosce la realtà e parla ragionando per vecchi luoghi comuni. Basta infatti una veloce analisi per capire che la soluzione alla crisi economica va di pari passo all’uscita dalla crisi ambientale.

La Green Economy infatti già oggi rappresenta la migliore prospettiva di occupazione per il futuro: quasi il 40% delle assunzioni complessive programmate per il 2012 da tutte le imprese italiane dell’industria e dei servizi si deve alle aziende che investono in tecnologie green (oltre 241mila nuovi addetti in un solo anno).

Finora da quasi tutti i governi si sono invece registrati provvedimenti spot e nonostante le energie rinnovabili siano oggi una realtà importante per l’approvvigionamento energetico, nell’ultimo periodo si è messo mano agli incentivi in modo assolutamente sconsiderato, generando incertezza per gli investimenti e mettendo a rischio il settore.

Oggi la green economyè una realtà che si sta rapidamente consolidando. Non è una nicchia, la più innovativa e sostenibile, del sistema industriale italiano, ma una direzione di cambiamento che punta a far prevalere gli investimenti in ricerca, qualità, innovazione, attenzione al territorio ed all’utilizzo dell’energia, e attraverso questi rilanciare un’occupazione qualificata e rendere l’intero sistema produttivo più moderno e competitivo. Decine di migliaia di imprese dal Nord al Sud in questi anni stanno investendo in tecnologia e prodotti green. Rappresentano il 23,6% di tutte delle imprese industriali e terziarie. Il 37,9% delle imprese che investono in ecosostenibilità hanno introdotto innovazioni di prodotto e di servizio, contro il 18,3% delle altre. Il 37,4% delle imprese green esportano, contro il 22% delle imprese che non investono nell’ambiente.

Strategie necessarie per sostenere lo sviluppo di una economia verde sono molte: tra queste una revisione della fiscalità che sposti l’attenzione dal lavoro all’internalizzazione dei costi ambientali, attenuando la pressione o defiscalizzando le attività strategiche per la green economy; ma serve anche un piano di Green Procurement nella Pubblica Amministrazione che costituisca un vero e proprio volano per le tecnologie e i prodotti verdi, mettendo progressivamente al bando tecnologie e prodotti ad alto impatto ambientale (per impronta idrica, di carbonio, ecc). Così come la rigenerazione delle città e un piano nazionale per il risparmio energetico in ambito edilizio sono strategie che fanno imboccare la strada dell’economia verde.

Inoltre in un Paese con impianti industriali chimici in crisi e raffinerie da riconvertire c’è la chimica verde, la bio-based economy, che funziona se ripone al centro l’agricoltura e l’equilibrio tra le 4 funzioni che deve assolvere: cibo, alimentazione animale, energia e materiali, restituzione di sostanza organica e carbonio al terreno. Un settore delicato che va governato.

Ma l’uscita della crisi deve avvenire valorizzando una risorsa che solo in Italia abbiamo. Il nostro patrimonio culturale. Questo non ha eguali al mondo, non in senso assoluto, ma in relazione alla superficie del Paese: è nella concentrazione la sua unicità.

Questa peculiarità è confermata dai 467 musei statali e dai 4.232 non statali a cui si devono aggiungere i 215 tra monumenti ed aree archeologiche.

Nel 2011 l’occupazione impegnata nelle imprese culturali è pari a circa 1 milione e 390 mila persone. Dal 2007 al 2011 il settore è cresciuto ad un ritmo medio annuo dello 0,8%  passando dal 5,3% del 2007 al 5,6% del 2011. Il sistema produttivo culturale ammonta a 76 miliardi di euro, pari al 5,4% del totale dell’economia. Solo questo dato fa comprendere come la vera Grande Opera del Paese dovrebbe essere la cura e valorizzazione del settore dei beni culturali, che genererebbe un indotto di occupazione e di economia sui territori.

Le sfide per un turismo sostenibile, di qualità e attento a non provocare il deterioramento o l’esaurimento delle risorse che sono alla base della sua redditività, sono legate al cambiamento degli attuali modelli standard di consumo e alla promozione di un’offerta di destinazioni turistiche variegata, tematica e rispettosa del territorio.

Su questi aspetti nel padovano abbiamo un esempio negativo: in un bacino turistico ad alto potenziale come quello dell’area del Parco dei Colli Euganei che va ulteriormente valorizzato, la risposta più sbagliata è quella di chi continua ad immaginare la difesa occupazionale per Monselice e Este basata su grandi aziende come i cementifici che causano impatti ambientali negativi.

4 thoughts on “Riconversione ecologica dell’economia: necessaria e utile

  1. non sarebbe il caso di cominciare a mettere in discussione il fatto che un sistema economico deve essere competitivo ? è un aggettivo che si accosta male a concetti come EQUO e SOLIDALE

  2. sì, continuiamo con queste visioni da ‘800 utopico ….
    dentro la cattiva globalizzazione commercio equo significa ridare dignità (e mezzi) al produttore riconoscendogli il valore economico del suo lavoro.
    Un mercato giusto è quello che non sfrutta; non certo quello in cui la migliore qualità di prodotto (ad es. per minore impronta ecologica) non fa concorrenza ai peggiori prodotti, si impone e produce profitto. L’orizzonte è la responsabilità sociale ed ambientale d’impresa (se vogliamo cambiare qualcosa e non limitarci a creare micro nicchie che soddisfano le nostre paure).

  3. BENVENGA IL PARADIGMA “GREEN”. Dopo la conclusione della Guerra Fredda l’ occidente ha creduto di essere arrivato alla fine della storia e si è pensato che il mercato fosse la forma finale dell’ evoluzione storico-economico-sociale della società umana. Ma la mercificazione delle persone e delle risorse naturali ha portato ad una nuova crisi. Quello che ora vogliono propinarci è un’ altra bella dose da cavallo di ricette neoliberiste. Invece c’ è bisogno di un nuovo paradigma ecologico-economico-sociale. Mi permetto di citare un peso massimo delle scienze sociali, Karl Polanyi, che ne “La grande trasformazione” (scritto tra il 1940-43) scriveva: “La descrizione del lavoro, della terra [cioè di ciò che non è prodotto dall’ uomo, cioè l’ ambiente] e della moneta come merci è interamente fittizia…La presunta merce “forza-lavoro” non può essere infatti fatta circolare, usata indiscriminatamente e neanche lasciata priva di impiego senza influire anche sull’ individuo umano…[con la mercificazione della terra (cioè dell’ ambiente)] La natura verrebbe ridotta ai suoi elementi, l’ ambiente ed il paesaggio deturpati, i fiumi inquinati…”. Quindi benvenga un nuovo paradigma che coniughi rispetto dell’ uomo e dell’ ambiente.

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