Perché votare Sì al Referendum del 17 aprile sulle trivellazioni

VotaSì_trivelle_referendum_ecopolisLa scelta del governo di far votare gli italiani il 17 aprile taglia i tempi necessari per informare i cittadini sul referendum riguardante le trivellazioni in mare. Lo dicono  Legambiente e centinaia di associazioni e comitati.

Col referendum si chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Infatti, nonostante le società petrolifere non possano più richiedere per il futuro nuove concessioni, le ricerche e le estrazioni già in corso, se non vince il Sì, non avranno nessuna scadenza e potranno continuare fino ad esaurimento del giacimento.

Votare Sì al referendum del 17 aprile, ovvero Si all’abrogazione del comma del decreto 152 del 2006 che permette le trivellazioni in mare, significa mandare un chiaro segnale al Governo affinché passi ad una politica che promuova con decisione le energie rinnovabili, abbandonando gradualmente i combustibili fossili.

Era necessario avere più tempo a disposizione per spiegare che tutto il petrolio presente sotto il mare italiano basterebbe al nostro Paese per sole 7 settimane, mentre già oggi produciamo più del 40% di energia da fonti rinnovabili. Se si vuole mettere definitivamente al riparo dalle attività petrolifere i nostri mari e le nostre coste, uniche al mondo e fonte di ricchezza turistica, occorre votare Sì.

La Strategia energetica italiana è assolutamente carente e punta sui cavalli sbagliati:  fonti fossili ed estrazioni petrolifere. Soprattutto oggi, dopo l’accordo di Parigi e gli impegni presi dall’Italia in ambito internazionale nel dicembre 2015, serve ripensare le politiche energetiche del nostro Paese.

Non aver voluto accorpare il referendum alle elezioni amministrative che si terranno in giugno, limita fortemente la possibilità di partecipazione ad una consultazione che interessa tutto il paese. Tuttavia Legambiente, insieme a tantissime altre associazioni e comitati si impegnerà al massimo per coinvolgere tutti in questa partita importantissima.

Si voterà in tutta Italia e non solo nelle Regioni che hanno promosso il referendum (tra le quali c’è anche il Veneto). Potranno votare anche gli italiani residenti all’estero e sarà possibile votare soltanto nella giornata di domenica 17 aprile. Legambiente auspica, da parte dei media locali, che sia dato ampio spazio all’informazione ed a tutti i pareri, favorevoli e contrari, sul referendum del 17 aprile.

Nei prossimi numeri di ecopolis, da qui fino alla data del referendum, cercheremo di darvi tutte le informazioni necessarie a formarvi un’opinione chiara sui vari aspetti del tema, dagli effettivi rischi per l’ecosistema marino, alle ragioni del comitato per il no, alle ripercussioni sul mercato del lavoro nel settore. L’obbiettivo è certamente la vittoria del Si, ma ancor prima riuscire a coinvolgere quanti più cittadini possibili e portarli alle urne.

Lucio Passi, portavoce Legambiente Padova

2 thoughts on “Perché votare Sì al Referendum del 17 aprile sulle trivellazioni

  1. Carissimi,
    un brevissimo appunto sulla qualità della comunicazione.
    Leggo:
    “Era necessario avere più tempo a disposizione per spiegare che tutto il petrolio presente sotto il mare italiano basterebbe al nostro Paese per sole 7 settimane, mentre già oggi produciamo più del 40% di energia da fonti rinnovabili. Se si vuole mettere definitivamente al riparo dalle attività petrolifere i nostri mari e le nostre coste, uniche al mondo e fonte di ricchezza turistica, occorre votare Sì.”
    La domanda che sorge spontanea è:
    “Allora, se l’estrazione di petrolio dalle coste italiane non è così fruttifera come sembrerebbe, perché tutto questo battage mediatico da parte delle società petrolifere e l’impegno del governo in loro favore?”
    Considerate che stiamo parlando solo della porzione di idrocarburi fruttabili da impianti “entro le 12 miglia marine”!
    E’ assai evidente ad ogni mente ragionevole che “c’è sotto qualcosa” e questo qualcosa, di cui pochi parlano, è il gas metano, la cui estrazione è assai fruttifera, ma presenta un gravissimo effetto collaterale che si chiama subsidenza dei suoli.
    Perché non accennate minimamente a questo argomento nel vostro articolo?
    Spero che nei prossimi reportage migliorerete la vostra comunicazione, che al momento, almeno a me, appare molto carente e assai poco convincente!
    Bisogna mobilitare più di 20 milioni di italiani in una sola domenica!!!
    Datevi una mossa e una schiarita alle idee …
    Scusatemi tanto, ma è meglio uno shock prima che una delusione dopo.
    Buona giornata e buon lavoro, che so che siete tutti volontari 🙂

  2. Caro Enrico,
    il contributo delle attività entro le dodici miglia, pari al 3% dei nostri consumi di gas e meno dell’1% di petrolio, risultano alquanto inutili ai nostri fini energetici. Se vince il sì, sono queste le risorse di gas e di petrolio che smetteremo di far produrre alle compagnie petrolifere.
    Un contributo che è abbondantemente compensato dal calo dei consumi in atto da diversi anni. Se poi entriamo nel dettaglio della produzione nazionale scopriamo che non solo i consumi di gas in questi ultimi 10 anni sono diminuiti, ma anche la produzione nazionale si è ridotta del 43%.

    Non solo ma già oggi il nostro potenziale giornaliero di importazione è pari a 296,6 milioni di metri cubi da gasdotti a cui si aggiungono 54,4 milioni di metri cubi da rigassificatori, per una stima complessiva annuale di 127mila milioni di Smc di gas annui. Quasi il doppio di quanto consumato dal nostro Paese. Naturalmente le importazioni di gas, non funzionano in maniera così automatica come una semplice operazione matematica, ma questo dimostra ancora una volta come la “transizione” necessaria per arrivare quanto prima al nuovo scenario basato su fonti energetiche pulite e rinnovabili sia più che garantito, a prescindere dalle piattaforme presenti nel nostro mare. Senza dimenticare che uno tre rigassifficatori presenti nel nostro Paese non solo non è mai partito, proprio a causa dei bassi consumi, ma rischiamo anche di pagarlo in bolletta.

    E non è vero che se non trivelliamo noi, trivelleranno gli altri. La Croazia ha appena firmato una moratoria contro ogni nuova trivellazione. E’ il nostro Paese ad avere 35 concessioni di coltivazioni di idrocarburi in Adriatico, di cui 26 produttive con 463 pozzi, contro le 9 concessioni della Croazia.

    Senza contare la beffa che queste risorse sono bene dello Stato finché la società petrolifera non ottiene la concessione. E’ la stessa società che poi ne decide la destinazione finale. A questo si aggiungono i diversi i sussidi indiretti e gli sconti applicati a coloro che sfruttano le risorse fossili nel territorio italiano. A partire dalle royalties irrisorie – pari al 10% per la terraferma e il 7% per quelle in mare – che rendono le estrazioni petrolifere estremamente vantaggiose, e a dirlo sono le stesse compagnie petrolifere che vengono in Italia ad estrarre combustibili fossili e inquinanti. Senza contare che la normativa italiana prevede per il petrolio che le prime 20mila tonnellate estratte in terraferma e le prime 50mila tonnellate estratte in mare siano esenti dal pagamento di aliquote. Stesso discorso vale per i primi 25milioni di Smc di gas estratti in terra e i primi 80milioni estratti in mare. Addirittura gratis le produzioni in regime di permesso di ricerca. A questo aggiungiamoci le detrazioni che le compagnie hanno sulle royalties versate alle Regioni, i danni ambientali, di inquinamento ben raccontati da Greenpeace ma anche quelli di subsidenza che nella riviera romagnola hanno portato a danni per 1,3 miliardi di euro a fronte di 7,5 milioni di entrate dalle royalties!

    Davvero pensiamo che abbiamo bisogno di tutto questo gas? che dobbiamo per forza e necessariamente spendere tra i 1.500 e i 2.000 euro di gas l’anno per soddisfare le nostre necessità di riscaldamento, cucina e acqua calda?

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